REVOCATORIA: il curatore non può proporre la medesima azione prima per il fallimento sociale e poi per quello personale

Procedimento patrocinato da DE SIMONE LAW FIRM

Nel caso di sentenza dichiarativa del fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili, il curatore fallimentare non può agire una volta in rappresentanza dei creditori della società e l’altra in rappresentanza unicamente di quelli del socio al fine di potersi giovare – a suo piacimento – della sentenza che gli sia più favorevole.

E’ pertanto del tutto indifferente che il curatore promuova l’azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell’altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse.

Questi i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, prima sezione, Pres. Vittorio Ragonesi – Rel. Magda Cristiano, con ordinanza pubblicata il 21/01/2016, nell’ambito di un giudizio di revocatoria ordinaria, promossa dal curatore di una società di persone in accomandata semplice, prima per il fallimento sociale e poi per il solo fallimento personale.

In particolare, la curatela del Fallimento sociale aveva promosso azione ex artt. 66 lf e 2901 cc nei confronti di un Istituto di credito e la domanda era stata respinta.

Successivamente il solo Fallimento del socio accomandatario, aveva proposto la medesima domanda, sul presupposto di essere un soggetto diverso, agendo in rappresentanza dei creditori del socio e la domanda veniva accolta prima dal Tribunale con sentenza, la quale poi veniva confermata anche in appello.

L’istituto di credito proponeva il ricorso per Cassazione, denunciando violazione del principio del ne bis in idem, alla luce del giudicato intervenuto con la prima sentenza di primo grado, eccezione rigettata dalla Corte d’Appello sul presupposto che la detta sentenza fosse intervenuta fra soggetti in parte diversi, non potendosi ritenere che il curatore del fallimento della società avesse agito anche nella veste di curatore del fallimento del socio accomandatario.

La Suprema Corte, nell’affermare la fondatezza del motivo, con l’ordinanza in esame, ha chiarito finalmente i termini della questione concernente la legittimazione ad agire del fallimento sociale in relazione agli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabili e i limiti del principio dell’autonomia del patrimonio della società rispetto a quello dei soci, in relazione all’altro della rappresentanza del curatore del fallimento sociale.

Viene evidenziato, infatti, come nel caso di sentenza dichiarativa del fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili, il fatto che il patrimonio della società resti autonomo rispetto a quello dei soci, e che vadano conseguentemente tenute distinte le diverse masse attive e passive, non implichi che il curatore possa agire separatamente per la revocatoria del medesimo atto di disposizione compiuto dal socio, una volta in rappresentanza dei creditori della società e l’altra in rappresentanza unicamente di quelli del socio, in modo da potersi giovare — a suo piacimento – della sentenza che gli sia più favorevole.

La Corte precisa, poi, come dal principio ripetutamente affermato, secondo cui il curatore del fallimento sociale è attivamente legittimato ad agire in revocatoria anche contro atti di disposizione compiuti dal socio (in considerazione dell’interesse correlato agli effetti positivi che, ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali, deriva dall’incremento dell’attivo del fallimento personale del socio) possa, al contrario, agevolmente ricavarsi che la pronuncia che definisce la causa in tal veste instaurata dal curatore è destinata a produrre in primo luogo i suoi effetti sulla massa attiva del socio: il vittorioso esperimento dell’azione comporterà infatti l’acquisizione del bene (o del tantundem) al medesimo patrimonio dal quale è fuoriuscito, con la conseguenza che sul ricavato potranno soddisfarsi anche i creditori particolari del socio.

A questo punto la Corte afferma il rilevante principio secondo cui è del tutto indifferente che il curatore promuova l’azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell’altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse.

E poiché, nel caso di specie, il curatore del Fallimento della s.a.s. aveva già proposto nei confronti dell’Istituto di credito le domande (di declaratoria di inefficacia ex artt. 66 e 2901 c.c. dell’atto di realizzazione dei titoli costituiti in pegno dal socio accomandatario e di condanna alla restituzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni) oggetto anche del presente giudizio e tali domande erano state respinte con sentenza del Tribunale di Napoli passata in giudicato, atteso il principio del ne bis in idem, la Corte rileva come fosse dunque precluso al giudice di pronunciare sulle medesime domande, ancorché riproposte dall’attore nella sola veste di curatore del fallimento del socio accomandatario.

Sulla base di tale iter argomentativo, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato senza rinvio la sentenza impugnata, condannando la curatela al pagamento delle spese di lite dei vari gradi di giudizio.

Ci sono voluti due gradi di giudizio per ottenere il riconoscimento del principio semplice e logico del ne bis in idem, essendo evidente che il medesimo soggetto giuridico non può giovarsi – a suo piacimento – della sentenza che gli sia più favorevole.