AMMISSIONE PASSIVO: anche se il contratto di c/c è privo di data certa, gli estratti provano l’anteriorità al fallimento

Procedimento patrocinato da DE SIMONE LAW FIRM

La produzione degli estratti conto è idonea a consentire l’ammissione al passivo del credito azionato, anche ove il contratto dal quale quest’ultimo scaturisce sia privo di data certa, atteso che la ricostruzione del rapporto bancario mediante le singole movimentazioni antecedenti al fallimento consente di ritenere tale negozio giuridico stipulato prima della sentenza dichiarativa.

L’anteriorità del contratto di conto corrente rispetto alla data della dichiarazione di fallimento è dimostrata dalla stessa proposizione, da parte della curatela, ai sensi degli artt. 67, comma 3, lettera b), e 70, comma 3, r.d. n. 267/1942, dell’azione diretta a conseguire la declaratoria di inefficacia delle rimesse effettuate dalla società debitrice, giacché tale iniziativa giudiziaria presuppone necessariamente la preventiva esistenza del rapporto bancario di cui trattasi.

La cessione di credito, al pari del mandato all’incasso, è inefficace nei confronti della massa e, come tale, suscettibile di revocatoria fallimentare nella sola ipotesi in cui è funzionalmente preordinata, quale mezzo solutorio indiretto, al ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, ma non quando, in assenza di una comprovata passività consolidata, è strumentale all’erogazione di un finanziamento rispetto al quale si pone come forma di garanzia contestualmente prestata.

La stipulazione di un finanziamento fondiario non è affetta da alcuna nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, quand’anche diretta a ristrutturare pregresse esposizioni debitorie, assistite o meno da garanzia ipotecaria, non configurando un’ipotesi di frode alla legge, e non sussistendo alcuna disposizione legislativa che vieti o sanzioni il compimento di tale operazione economico-giuridica.

Questi i principi enunciati dal Tribunale di Salerno, Pres. Russo, Rel. Brancaccio, con il decreto ex art. 99 lf, del 18.12.2015, reso nell’ambito di un giudizio di opposizione allo stato passivo proposto da un Istituto di credito.

In particolare, la Banca chiedeva di essere ammessa al passivo in virtù di una pluralità di ragioni di credito tra cui un finanziamento ipotecario, il saldo di un conto corrente ordinario e vari conti anticipi.

Rigettata la domanda, veniva proposto ricorso ex art. 98 lf, giudizio in cui la curatela si costituiva sollevando una pluralità di eccezioni, tra cui le principali attengono la mancanza di data certa dei contratti, la revocabilità delle operazioni di anticipazione, la nullità del contratto di mutuo, la revocabilità dell’ipoteca iscritta a garanzia del finanziamento.

Il Tribunale di Salerno, dopo una attenta ricostruzione delle vicende processuali del giudizio, muove il proprio esame illustrando i principi in punto di data certa ex art. 2704 cod. civ. che imperniano l’accertamento della pretesa fata valere in sede di formazione dello stato passivo.

Sul punto e con specifico riferimento alla prova dei saldi di conto corrente e dei conti anticipi, in relazione ai quali la curatela aveva eccepito la mancanza di data certa dei relativi contratti, il Tribunale afferma il principio secondo cui la produzione degli estratti conto è idonea a consentire l’ammissione al passivo del credito azionato, anche ove il contratto dal quale quest’ultimo scaturisce sia privo di data certa, atteso che la ricostruzione del rapporto bancario mediante le singole movimentazioni antecedenti al fallimento consente di ritenere tale negozio giuridico stipulato prima della sentenza dichiarativa.

Ed infatti – viene precisato- quando i rapporti giuridici azionati dal creditore sono di durata, la mancanza del requisito della certezza della data non legittima, ex se, la reiezione della domanda di ammissione al passivo concorsuale, a differenza di quanto si verifica per i rapporti ad effetti istantanei, giacché proprio la loro protrazione temporale, soprattutto se non contestata dalla controparte, comprova l’anteriorità della stipulazione dei contratti bancari da cui promanano.

In definitiva, ad avviso del Tribunale, proprio gli allegati estratti conto, dimostrando la storicità e l’evoluzione di un rapporto bancario sorto e definito prima della dichiarazione di fallimento, costituiscono elementi idonei a dimostrare che il relativo contratto, sebbene privo di data certa, sia stato concluso dalle parti in un periodo antecedente all’instaurazione del procedimento concorsuale.

Il Tribunale, poi, correttamente osserva come l’anteriorità del contratto di conto corrente rispetto alla data della dichiarazione di fallimento sia dimostrata dalla stessa proposizione, da parte della curatela, ai sensi degli artt. 67, comma 3, lettera b), e 70, comma 3, r.d. n. 267/1942, dell’azione diretta a conseguire la declaratoria di inefficacia delle rimesse effettuate dalla società debitrice sul medesimo conto corrente, giacché tale iniziativa giudiziaria presuppone necessariamente la preventiva esistenza del rapporto bancario di cui trattasi.

Con riferimento, poi, ai conti anticipi, il Tribunale afferma come la certezza della data della documentazione prodotta sia attestata dalle date dei timbri postali stampigliati sulle singole richieste di finanziamento formulate dalla società debitrice all’opponente.

Ed invero, se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi data certa della stessa, giacché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui è stata eseguita, gravando sulla parte che contesti la certezza della data l’onere di provare, pur senza necessità di proporre la querela di falso, che il contenuto della scrittura sia stato redatto in un momento diverso (cfr., ex plurimis, Cass. 11 ottobre 2006, n. 21814; Cass. 14 giugno 2007, n. 13912; Cass. 28 maggio 2012, n. 8438).

Passando, poi, all’esame delle eccezioni in punto di inefficacia delle operazioni finanziamento, il Tribunale di Salerno rigetta anche le dette eccezioni, affermando in primis il principio della revocabilità della cessione di credito, al pari del mandato all’incasso, nella sola ipotesi in cui sia funzionalmente preordinata, quale mezzo solutorio indiretto, al ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, ma non quando, in assenza di una comprovata passività consolidata, sia strumentale all’erogazione di un finanziamento rispetto al quale si pone come forma di garanzia contestualmente prestata.

Ed infatti si afferma come le operazioni effettuate in virtù dei conti anticipi costituiscano ordinarie modalità di finanziamento dell’attività imprenditoriale, dal momento che consentono alla società debitrice di ottenere immediata liquidità a fronte del conferimento di mandati irrevocabili all’incasso o della cessione di crediti in scadenza, e non già mezzi di estinzione di preesistenti debiti scaduti ed esigibili, salvo che il Fallimento dimostri che la loro reale funzione sia quella di ripianare passività del conto corrente ordinario.

Per quanto attiene alle eccezioni sollevate dal fallimento in ordine al credito derivante dal finanziamento in pool, il Tribunale di Salerno ne esclude la nullità per illiceità della causa, ai sensi degli artt. 1418, 1343 e 1344 cod. civ., rilevandosi come il finanziamento fondiario non sia di per sé caratterizzato da un vincolo di destinazione, con la conseguenza che la somma erogata non deve essere necessariamente impiegata, a pena di nullità, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., per l’acquisto o il miglioramento dei cespiti sui quali è iscritta ipoteca, ma può essere utilizzata per qualsiasi finalità e, dunque, anche per il ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, in tal modo consentendone una rinegoziazione, con una rimodulazione temporale e qualitativa del pagamento, a fronte della costituzione, da parte del beneficiario, di una garanzia reale (cfr. Cass. 11 gennaio 2001, n. 317; Cass. 18 settembre 2003, n. 13768; Cass. 20 aprile 2007, n. 9511; Cass. 26 marzo 2012, n. 4792).

Sul punto, viene correttamente osservato come il finanziamento fondiario, in definitiva, non integra ex se un finanziamento di scopo, dal momento che, per la sua validità, la somma erogata non deve essere diretta ad uno specifico fine che il beneficiario è tenuto a perseguire, né l’istituto bancario deve controllare l’utilizzazione della stessa, risultando connotato, piuttosto, dalla possibilità della concessione di una garanzia ipotecaria da parte del proprietario di beni immobili, rustici o urbani.

Da tanto ne consegue la validità di un finanziamento fondiario, quand’anche diretta a ristrutturare pregresse esposizioni debitorie, assistite o meno da garanzia ipotecaria, non configurando questa un’ipotesi di frode alla legge, non sussistendo alcuna disposizione legislativa che vieti o sanzioni il compimento di tale operazione economico-giuridica.

Quando un finanziamento fondiario è preordinato a realizzare l’estinzione di un precedente rapporto obbligatorio chirografario intercorrente tra l’istituto erogatore e il beneficiario o un terzo, la fattispecie negoziale integra non un meccanismo simulatorio, ma un vero e proprio procedimento indiretto voluto dalle parti al fine di garantire la banca, attraverso la sostituzione del precedente credito non privilegiato con un credito assistito da una causa legittima di prelazione, dal rischio dell’insolvenza del beneficiario. Tale operazione può provocare, al più, la lesione dei diritti degli altri creditori, ma non determina una nullità del contratto ai sensi dell’art. 1344 cod. civ., atteso che il negozio in frode alla legge è quello che persegue una finalità vietata in assoluto dall’ordinamento, per essere contraria a nonne imperative o ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume o per essere diretta ad eludere una norma imperativa.

Il Tribunale di Salerno rileva, tuttavia, come, nella fattispecie in esame, sia da escludere anche l’astratta inefficacia della garanzia ipotecaria nei confronti della massa dei creditori ai sensi dell’art. 66 lf, non avendo il fallimento dimostrato che le somme da  erogate dall’Istituto di credito siano state utilizzate per ripianare pregresse esposizioni debitorie di natura chirografaria e, dunque, per trasformare, in elusione del principio della par condicio creditomm, suoi precedenti crediti non privilegiati nei confronti della società debitrice in un credito assistito da una causa legittima di prelazione.

In conclusione, il Tribunale di Salerno, dopo l’analitica motivazione con cui ha affrontato scrupolosamente le molteplici questioni trattate, ha disatteso tutte le eccezioni sollevate dalla curatela ed ha accolto l’opposizione allo stato passivo proposta dalla Banca, con ammissione delle varie ragioni di credito al passivo.