MEDIAZIONE: illegittima la nomina del consulente tecnico su richiesta di una sola parte

Il procedimento di mediazione non può proseguire in forma unilaterale, allorché una parte manifesti al primo incontro c.d. di programmazione volontà contraria alla prosecuzione. È pertanto illegittima la nomina di un consulente tecnico al fine di consentire al mediatore di formulare una proposta di definizione, senza il preventivo assenso di entrambe le parti.

Lo ha stabilito il Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Direzione Generale della Giustizia Civile, in persona del Magistrato delegato Dott.ssa Adele Verde, con provvedimento del 2 febbraio 2017, con il quale ha formalmente “ammonito” un organismo di mediazione responsabile di aver violato la normativa di settore.

Vediamo nel dettaglio cosa è accaduto.

Nel corso di un procedimento di mediazione promosso contro una Banca da una società-cliente, il mediatore, nonostante il rifiuto dell’istituto di credito di aderire alla procedura, ha ritenuto possibile proseguire nel tentativo di conciliazione, dichiarando “aperto” il procedimento e nominando un consulente tecnico al fine di consentire la formulazione di una proposta di definizione.

La banca dissenziente, a fronte della chiara violazione di legge, ha interpellato formalmente il Ministero della Giustizia, chiedendo di verificare la legittimità dell’operato dell’organismo di mediazione.

Esprimendosi sull’istanza dell’istituto di credito, il Ministero ha chiarito preliminarmente che il primo incontro di mediazione (c.d. di programmazione) deve essere considerato come momento non ancora inserito nello svolgimento vero e proprio dell’attività di mediazione, ciò in quanto la norma di cui all’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 testualmente recita: “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”

Tale disposizione, delineando la natura e la funzione del primo incontro rispetto alla procedura di mediazione, consente, inoltre, di comprendere la ragione per la quale il legislatore ha previsto che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione“: non essendosi svolta vera e propria “attività di mediazione” non si potrà richiedere un compenso che attenga, appunto, ad una attività eventuale e successiva che avrà modo di essere esercitata solo se le parti intendano procedere oltre.

Ne risulta che la possibilità di iniziare la procedura di mediazione è testualmente ancorata alla volontà concorde di entrambe le parti.

Se ciò è vero, se ne deduce che il mediatore, dinanzi all’espresso rifiuto di una di queste, giammai potrà procedere a formulare alcuna proposta o alla nomina un consulente tecnico, dovendosi limitare a redigere un verbale negativo.

Ragionare diversamente snaturerebbe il ruolo che il legislatore ha voluto ritagliare al primo incontro, che altro non è se non una sessione prodromica alla vera attività di mediazione finalizzata solo a raccogliere la volontà delle parti, e alla struttura stessa dell’istituto che è stato concepito come un modello “obbligatorio mitigato” proprio per la possibilità che viene data alle parti di abbandonare la procedura nel corso del primo incontro (cd. opt-out).

Diversa è, invece, l’ipotesi in cui la parte chiamata in mediazione decida di rimanere contumace.

In tali casi, non vi è dubbio che la parte istante, se il regolamento dell’organismo lo consente, può scegliere di “entrare” in mediazione e, all’esito dell’attività del consulente tecnico, comunicare al chiamato in mediazione una proposta.

È evidente, infatti, che il dissenso non può essere equiparato alla contumacia – comportamento che il codice di procedura civile considera “neutro” – e in questa ottica deve essere letto l’art. 7, comma 2, D.M. 180/2010.

Una diversa interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto con il dettato del decreto legislativo per le ragioni sopra esposte.

Per tali motivi il Ministero, che già in passato aveva ammonito l’organismo in questione, ha invitato nuovamente lo stesso ad adeguare il proprio regolamento alla vigente normativa e ad inserirlo nel registro telematico, con espressa diffida ad adeguarsi immediatamente alle indicazioni già fornite con precedenti note ed a darne comunicazione alle parti entro il termine di dieci giorni, pena sospensione e/o cancellazione dal registro ex art. 10 del D.M. n. 180/2010.